Cenni Storici

Gli storici sono unanimi oggi nell’affermare che, se è vero che l’Uomo è un essere onnivoro, per diversi milioni di anni è stato principalmente carnivoro.
Dalle origini sino all’inizio del Neolitico, circa 10.000 anni fa, l’Uomo era un cacciatore-raccoglitore nomade, il cui cibo era costituito essenzialmente di selvaggina (proteine e lipidi) ma anche bacche (frutti selvatici) o ancora radici (glucidi con indice glicemico molto basso contenenti molte fibre). La maggior parte degli autori è concorde nel ritenere che i nostri antenati mangiavano anche, in via accessoria, vegetali (foglie, germogli …) e senza dubbio anche, in qualche occasione, semi selvatici. Anche questi vegetali sono da classificarsi nella categoria dei glucidi con indice glicemico estremamente basso.

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Sembra evidente che il dispendio energetico quotidiano di questi uomini primitivi fosse considerevole, non solo per via delle prove fisiche che si trovavano ad affrontare, ma anche per via della precarietà delle loro condizioni di vita che li esponeva ai rischi climatici.

La domanda che sorge spontanea è dunque capire come questi quasi «sportivi a livello agonistico» abbiano potuto, per milioni di anni, provvedere a un simile dispendio calorico avendo a loro disposizione così pochi glucidi e soprattutto nessuno degli pseudo zuccheri lenti, che sono però considerati indispensabili dai nutrizionisti di oggi.

Diventando progressivamente più sedentario a partire dal Neolitico, l’Uomo vivrà i primi grandi cambiamenti alimentari della sua storia. Lo sviluppo dell’allevamento degli animali gli consentirà di continuare a mangiare carne (ma non proprio la stessa) e sviluppando l’agricoltura produrrà cereali (grano, segale, orzo…) e in seguito leguminacee (lenticchie, piselli…), e infine frutta e verdura.

Alcuni potrebbero credere che, diventando sedentario, l’uomo primitivo abbia innescato un processo che lo avrebbe condotto a migliorare la sua esistenza.
Bisogna dire però che sul piano alimentare, è accaduto il contrario. Contrariamente al cacciatore-raccoglitore del Mesolitico, l’agricoltore-allevatore dovette in realtà ridurre notevolmente la varietà della sua alimentazione. Solo qualche raro animale, infatti, si prestava ad essere addomesticato e allevato, e solo poche specie vegetali potevano essere coltivate. Non è esagerato affermare che l’agricoltore-allevatore dovette necessariamente razionalizzare, se non addirittura ottimizzare la sua attività nel senso che attribuiamo oggi a questo termine.

Questa vera e propria rivoluzione dello stile di vita dei nostri antenati ebbe perciò delle conseguenze.
Sulla salute innanzitutto. Il monofagismo che risultava dalle mono colture si rivelò essere una fonte importante di carenze, che si tradusse con una notevole diminuzione della speranza di vita delle popolazioni interessate. Inoltre l’agricoltura (anche se realizzata su terre alluvionali ricche e ben irrigate come in Egitto e in Mesopotamia) si rivelò molto più faticosa in termini di sforzi fisici rispetto alla braccata e alla caccia della selvaggina del mesolitico, ma anche degli animali di grosse dimensioni del paleolitico superiore.

002bL’uomo primitivo aveva vissuto in armonia e in equilibrio con la natura e, quando il suo cibo naturale si spostava per via delle migrazioni delle specie o del ciclo delle stagioni, si spostava anch’esso.

Per diventare autonomo rispetto alle sue fonti di approvvigionamento alimentare infatti, l’agricoltore-allevatore dovette in particolare fronteggiare numerosi nuovi rischi: capricci del clima, rischi rispetto alla scelta delle varietà e delle specie più o meno produttive e fragili, ma anche rischio in relazione alla scelta dei terreni più o meno adatti. La storia dei sette anni di vacche magre raccontata dalla Bibbia illustra chiaramente le incertezze di questo nuovo modo di coltura, che per natura è aleatorio.
Dinnanzi alla paura della carestia, l’agricoltore non smetteva di pensare che bisognava produrre di più e che, di conseguenza, servivano nuove braccia.
Senza saperlo l’agricoltore e i suoi figli hanno così dato vita a un circolo vizioso. Contribuendo a uno sviluppo demografico costante, i rischi e la gravità delle carestie per via dei cattivi raccolti erano tanto più catastrofici.

Per essere esaustivi dovremmo dilungarci troppo.
Ciò non toglie che non possiamo trattare un problema che percorre oggi, la prevalenza dell’obesità nella nostra civiltà attuale, è diventata una vera e propria guerra di massa, per sopraffarla, spesso anche in modo sbagliato. Nel mondo ci sono 1 miliardo e 50 milioni di persone in sovrappeso o obese e 950 milioni che non si alimentano a sufficienza. In Italia; un italiano su due è in sovrappeso ed almeno il 10% è obeso. Delle semplici regole per non cadere in questo stile di vita non certamente salutare può essere di non mangiare fuori pasto, di non mangiare se non si ha fame, adoperare piatti piccoli, tagliare il cibo in pezzi piccoli e guardare il cibo con una mentalità aperta, sapendo, informandosi, cosa viene introdotto nel nostro organismo, i suoi apporti calorici, le sue peculiarità che lo rendono un alimento sano o dannoso.